basilica di santa maria maggiore

LA BASILICA DI SANTA MARIA MAGGIORE

LA STORIA

La basilica  fu edificata nel 432 da San Simmaco, vescovo di Capua e patrono di Santa Maria Capua Vetere. Simmaco dedicò la basilica alla Madonna dopo che il concilio di Efeso aveva proclamato Maria come Madre di Dio.

Dopo la distruzione della basilica costantiniana, intitolata a san Pietro, e della basilica germaniana, intitolata ai santi Stefano ed Agata (VI secolo), la basilica di Santa Maria Maggiore (Sancta Maria Syricorum) fu sede cattedrale del vescovo di Capua. Almeno dal IX secolo la chiesa fu dotata di un proprio capitolo canonicale. Anche dopo il trasferimento della sede vescovile nella nuova Capua, fondata dai principi longobardi sull'ansa del fiume Volturno (antica Casilinum) per potersi meglio fortificare e difendere dagli attacchi dei Bizantini di Napoli e dei Saraceni, la basilica continuò a mantenere il trono vescovile, il titolo e la funzione di concattedrale in quanto, nell'adiacente palazzo vescovile, costruito probabilmente prima dell'anno mille e comunque certamente esistente nel XIII secolo, i vescovi e, dopo il 964, gli arcivescovi metropoliti di Capua, per preservarsi dal clima insalubre del palazzo vescovile nella nuova Capua, vi tennero la propria residenza durante i mesi estivi. Il palazzo, successivamente soggetto a significativi lavori di ristrutturazione nel XVII secolo, ad opera degli arcivescovi Camillo e Antonio Melzi (donde è attualmente denominato Palazzo Melzi), mantenne la sua destinazione fino 1818. In quell'anno, infatti, il cardinale arcivescovo Francesco Serra di Cassano, per consentirvi l'allocazione dei Tribunali della neocostituita Provincia di Terra di Lavoro, lo cedette in enfiteusi al Municipio di Capua, impedendo così il loro trasferimento nella città di Caserta che, proprio in quell'anno, a causa dell'insufficienza delle anguste strutture presenti nella città di Capua, diveniva il nuovo capoluogo provinciale. Non cessava comunque la residenza degli arcivescovi di Capua in Santa Maria durante i mesi estivi, né, conseguentemente, il funzionamento come concattedrale della basilica di Santa Maria Maggiore. Lo stesso cardinale Serra di Cassano, infatti, faceva edificare un nuovo palazzo vescovile nella vicina via Melorio e tale situazione rimase immutata fino al periodo della seconda guerra mondiale, che vide il progressivo abbandono e degrado della residenza arcivescovile de Santa Maria, fino al triste esito della sua demolizione negli anni novanta.

La presenza più che millenaria della sede Vescovile nella basilica di Santa Maria Maggiore (che del resto è appartenuta allo stesso Municipio di Capua fino alla prima metà del milleottocento), spiega non solo la magnificenza e la grandiosità del sacro edificio, in parte nascoste all'esterno dalla facciata settecentesca, ma anche l'ininterrotto susseguirsi, nel corso dei secoli, dei continui interventi di ingrandimento, di ristrutturazione e di decorazione che ne hanno fatto un insieme al contempo nobile ed imponente, nella mirabile e singolare composizione armonica di molteplici e variegati elementi provenienti dallo spoglio degli edifici dell'antica Capua pagana e precristiana, fino alle sobrie ed eleganti decorazioni in marmi policromi e stucchi del sei e settecento napoletano.

All'interno della chiesa nel 787 Arechi II, principe di Benevento, stipulò con Carlo Magno il trattato di pace che, dopo la sconfitta del Re Desiderio a Pavia, consentì per oltre due secoli la sopravvivenza del dominio longobardo nella propaggine meridionale dell'Italia. Secondo l'anonimo salernitano, lo stesso principe, in scioglimento del voto fatto alla Madonna per ottenere, con la mediazione dei vescovi della Campania, la stipulazione della pace con i Franchi, apportò alla chiesa delle modifiche sostanziali, aggiungendovi la quarta e la quinta navata e configurandola così al classico schema della pianta basilicale.

Successive modifiche furono apportate nel corso del XVI secolo, con la costruzione delle volte in muratura nella seconda e terza navata e l'adeguamento del Presbiterio alle prescrizioni del Concilio di Trento; con la conseguente distruzione dell'antico altare, del ciborio che lo sovrastava (probabilmente ligneo) e del coro. Nel Seicento l'antico atrio antistante la facciata, su cui si affacciavano le abitazioni dei Canonici, fu inglobato nel Corpo della navata maggiore per aumentarne la lunghezza; fu inoltre costruito, al di sopra delle arcate delle mura perimetrali della stessa navata, un soffitto a cassettoni lignei, che coprì le antiche capriate del tetto, fino ad allora direttamente visibili. Nel Settecento profondi lavori di consolidamento e ristrutturazione modificarono l'aspetto e le dimensioni del sacro edificio e diedero alla chiesa la struttura odierna: la costruzione di sei pilastri di sostegno fra gli archi delle mura perimetrali della navata maggiore e l'elevazione della grandiosa volta ad incannucciata; la distruzione dell'antica abside ornata di mosaici paleocristiani rappresentanti la Madre di Dio e l'iscrizione dedicatoria di San Simmaco, che arrecò la gravissima e pressoché irrimediabile perdita di una fondamentale testimonianza dell'epoca di costruzione del primo nucleo della Chiesa e della sua dedicazione; la costruzione del nuovo presbiterio, più ampio e profondo del precedente.